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Cronisti di guerra da Hemingway all’Ucraina

Per la maggior parte di noi occidentali, la guerra tra Ucraina e Russia, è stato uno sconvolgente scroscio, improvviso come un temporale estivo, grondante di angoscia, paura e di una forte sensazione di impotenza innanzi a politici mascherati da pacifisti o guerrafondai.

Il problema è che, a differenza di un temporale estivo, il cui ingombro in termini di tempo è limitato, qui non si percepiscono la durata e le scorie che resteranno nel tessuto sociale delle popolazioni coinvolte.

In realtà, per tutti coloro che studiano la storia, la guerra è una tragica conseguenza di un percorso nel quale stupidità, arroganza e deliri di onnipotenza si ripetono con una ciclica e nefasta ritualità da migliaia di anni.


Una delle foto di guerra più famose di ogni tempo scattata da Robert Capa, amico di Hemingway


Tutti pensiamo di sapere da che parte stanno i cattivi, i buoni e quasi sempre in una guerra all’uomo piace stilare la classifica delle vittime e dei carnefici, senza porsi il dubbio, se anche i cosiddetti bruti siano davvero convinti e motivati ad esserlo o forse siano solo pedine sospinte dal vento di un dittatore verso questo destino obbligato.

Da ragazzo in un saggio scolastico, cantai e scoprì la bellissima canzone di De Andrè, La Guerra di Piero, che narra con profonda semplicità le sensazioni orribili dell’essere soldato. Oggi più che in ogni altro momento ho riscoperto la profonda verità di quella canzone.

Lo dimostrano in questi giorni, i prigionieri russi, giovani ragazzini spesso in lacrime e non certo con il portamento del guerriero invincibile.

Ma questa guerra ha certamente un ingrediente diverso, molto distante da tutti i conflitti del passato.

Quello che cambia in questa guerra è l’uso di una parola che sembra diventata di moda ovvero la “narrazione” (o narrativa) della guerra.

Uno storytelling di guerra che passa in primis, da immagini e video a opinioni e cartine con nomi di città ai più sconosciute.

Ascoltando in questi giorni telegiornali, servizi speciali e pareri di esperti di geopolitica o generali in pensione (che hanno sostituito i virologi) assorbiamo sentenze, opinioni e argomentazioni anche di persone con competenze davvero poco significative che rendono apparentemente “autorevoli” talk show e salotti televisivi.

Ma qualcuno, la differenza la sta facendo in questo compito narrativo e mi collego direttamente a guerre che ci sembrano lontanissime, senza esserlo per la verità.

Sto parlando di chi questa guerra l’ha vista dal vivo e la racconta quotidianamente, perché l’impressione è che vedere un conflitto da vicino possa trasmettere sensazioni che non si potranno cancellare.

Sto parlando dei corrispondenti di guerra che mai come in queste settimane hanno trovato spazio in tv, radio e giornali.

Le parole possono essere più penetranti, profonde, taglienti delle immagini e ne ho vissuto una prova tangibile con un salto nel tempo che ho vissuto in questi giorni.

In queste settimane ho più volte ascoltato con interesse e stupore alcuni racconti di Lia, mia suocera, che nell’epoca della seconda guerra mondiale era una bambina.

Lia mi ha raccontato, perché li ricorda nitidamente, i problemi della drammatica ricerca del cibo, la fame prende a braccetto la guerra e lo stiamo imparando in questi giorni.

Aneddoti drammatici narrati da Lia, alcuni dei quali mi hanno colpito come una storia con protagoniste delle scatolette di carne in scatola che venivano nascoste sottoterra per nasconderle ai soldati tedeschi e recuperate periodicamente quando serviva.

Un altro racconto relativo al recupero di un grande sacco di zucchero, divenuto preziosissimo, che fu raccolto tra le macerie di un’industria distrutta da un bombardamento con soldati tedeschi, che seppur nemici, aiutarono alcune donne italiane a caricare lo zucchero su carretti di fortuna.

Ma tra i ricordi di Lia, non mancano quelli della paura per le bombe, rifugi di fortuna, di aerei che sorvolavano quella pianura romagnola intorno a Lugo, dove viveva la famiglia di mia suocera, memorie confluite nella visione dei soldati americani e inglesi che liberarono il nostro Paese.

Sono passati tanti anni, ma i ricordi di quella guerra sono rimasti negli occhi di quella bambina italiana oggi segnata da qualche ruga, ma le cui memorie possono farci capire quanto quei tempi siano sempre d’attualità.


Bombardamento in Romagna nel 1944


A sentirla raccontare quelle storie sembrano identiche a quanto trasmesso in TV in questi giorni; le guerre del resto sono esperienze crude tremende e probabilmente indimenticabili.

Ascoltandola, mi sono venuti in mente molti scritti che ho letto di Hemingway, ma anche il valoroso contributo di alcuni giornalisti che nel terzo millennio hanno accettato di rimanere in una Ucraina dilaniata da bombe e missili, rischiando la vita, nelle città per raccontarci la verità, tentando di verificare le fonti, di confutare se necessario le tesi sostenute dalla propaganda dei due fronti.


Un giornalismo talvolta quasi eroico, comunque coraggioso e audace, che ho amato nelle pagine di Hemingway così come sono colpito da questi nuovi cronisti del conflitto nelle lande dell’ex Unione Sovietica.



Oggi siamo nell’era delle immagini, del Visual storytelling ed anche la guerra non sfugge a questa regola.

Se ci pensate, però, guardando un servizio montato in redazione in Italia o ascoltando i resoconti di un cronista di guerra sul campo l’emozione trasmessa dai corrispondenti sul posto è ben diversa.

Ancora una volte le parole guidate da quello che hanno visto gli occhi riescono a fare la differenza. Più delle immagini!

Torniamo quindi alla parola narrazione o narrativa, per questo vi invito a leggere proprio in questi giorni alcuni testi del passato, perché gli orrori della guerra sono stati raccontati con grande potenza da affermati scrittori e possono aiutarci a capire quello che accade oggi.

Amando la struttura stilistica di Hemingway vi segnalo alcune opere e letture preziose che in questi giorni possono farci riflettere su quanto le guerre del passato possano farci meditare e comprendere come la storia, ahimè, si ripete anche negli episodi più storti.

Hemingway partecipò a diversi conflitti del ‘900, sempre raccontando con esperienze dirette dalla prima linea questi conflitti.

Il primo fu quando ventenne Hemingway, scartato dal servizio militare era così motivato che giunse in Europa e in Italia in particolare come autista di ambulanze durante la prima guerra mondiale, proprio a ridosso del fronte guerreggiato tra italiani e austriaci.

Proprio sul fronte fu ferito gravemente e il suo atto eroico nel tentativo di salvare un soldato italiano gli valse decorazioni militari importanti.

Hemingway dopo esser stato ferito da un colpo di mortaio sul fronte


Rilevante anche la sua presenza nella guerra civile spagnola vivendo sotto i bombardamenti della città di Madrid e raccontando come cronista quel conflitto civile.

Pochi anni dopo partecipò anche alla seconda guerra mondiale, nella quale trovò modo di seguire le immediate fasi successive allo sbarco di Normandia e in prima fila alla liberazione di Parigi da parte degli alleati.

Forse certi passaggi storici e letterari potrebbero farci capire l’importanza storica di quei soldati americani che diedero la vita per la libertà dell’Europa.

La guerra è sempre stata per Hemingway un tema profondo della sua lirica e all’epoca i cronisti di guerra con i loro racconti e resoconti potevano davvero fare la differenza, perché i video erano rarissimi o inesistenti e le foto, sebbene impattanti erano poche e le parole del corrispondente di guerra erano gli occhi ufficiali sulla guerra.

Tra i fotografi ve ne erano alcuni che passarono alla storia come Robert Capa, uno dei fondatori della Magnum, la grande agenzia fotografica, che morì nel 1954 durante la guerra in Indocina, dopo aver posato un piede su una mina antiuomo.


Hemingway e Robert Capa mentre filma


Alcuni dei romanzi più famoso di Hemingway sono proprio legati alle sue esperienze di guerra.

Addio alle armi è considerato uno dei libri più riusciti sulla prima guerra mondiale così come Per chi suona la campana, fu candidato al premio Pulitzer, che però poi vinse (insieme al Nobel) per un altro capolavoro Il vecchio e il mare nel 1952.

Ma un racconto, considerato dai critici come uno di quelli meno potenti, è a mio giudizio di una straordinaria forza poiché descrive proprio quel fenomeno che oggi sta paralizzando e angosciando la morale accidentale.

Proprio questa short stories mi ha indotto a scrivere questo mio pensiero perché sembra un racconto di inquietante attualità.

Il vecchio al ponte è un racconto molto breve presente nell’antologia, una delle opere più belle del romanziere americano, i 49 racconti,

Tra i racconti questo citato è meno celebrato de Le nevi del Kilimanjaro o di Colline come elefanti bianchi, ci porta sulle tracce di un soldato che si trova coinvolto nella valutazione di uno spot militare strategico ed incontra un vecchio, un profugo che non ha più la forza di scappare. La rassegnazione diventa padrona di quel dialogo, di quel racconto.

E’ una delle opere che amo di più di Hemingway e la potete ascoltare, senza fatica e letta con una magistrale maestria Vecchio al ponte clicca qui. per ascoltarlo.


Al centro del racconto emerge con impeto la vulnerabilità dei civili, la rassegnazione e l’impotenza dell’uomo di fronte la guerra, quel senso di sbandamento che sentiamo oggi nei racconti dei milioni di profughi ucraini.

Lasciare la propria casa, le proprie abitudini, persino i propri animali crea una sorta di confusione mentale, che psicologicamente determina un forte stress al quale molte persone faticano a trovare la forza reattiva per fuggire.

In questi giorni, sovente vediamo profughi ucraini con gatti e cani al seguito, segno di un legame affettivo del quale non posso privarsi.

La guerra determina privazioni, sofferenze indicibili leggendo questo racconto di Hemingway capiamo quanto la guerra abbia da sempre le stesse implicazioni, sempre dannatamente incomprensibili.

Anche nel racconto citato, vi era un ponte, un crocevia strategico da difendere e proprio su quel ponte avviene l’incontro tra il soldato e il vecchio stanco di scappare!

Negli anni scorsi avevo letto alcuni libri e visto alcuni film sulla guerra tremende che hanno sconvolto il centro Africa in Ruanda.

Il genocidio del Ruanda fu uno dei più sanguinosi e drammatici conflitti della storia dell'umanità del XX secolo. Le stime di Human Rights Watch ci ricorda che in soli 100 giorni da aprile a luglio del 1994 furono massacrate con i machete, mitra e bastoni chiodati quasi un milione di persone!

Anche in quel caso qualche reporter era presente, ma lo sguardo del mondo occidentale si voltò dimenticando quella guerra. Una delle tante guerre dimenticate.

Per questa e tante altre (Siria, Libano, ecc) guerre nessun programma speciale in prima serata, nessuna edizione speciale di telegiornali…

E quindi qual’è la differenza dal passato?

La differenza è proprio in quella parola tanto di moda in queste settimane, ovvero nella narrazione del conflitto dai campi di guerra con alcuni reporter che stanno facendo un lavoro di grande intensità e professionalità. Una narrazione più ascoltata del solito, forse perchè sentiamo una minaccia diretta, una vicinanza diversa.

I reporter ci sono sempre stati sui campi di guerra, ma stavolta i riflettori, le prime pagine danno spazio ai loro racconti, in modo preponderante, per fortuna aggiungo io.

Questo fa la differenza su una guerra che per il resto non è molto diversa da quelle del passato, un conflitto che è intriso di sangue, sofferenza, ingiustizia e impotenza.


Nell’era tecnologica del terzo millennio, delle immagini satellitari, dei droni, sono ancora fondamentali i presidi, i checkpoint e le mine sui ponti esattamente come narrava Hemingway in un racconto ambientato nella guerra civile spagnola di fine anni ’30.

Spesso mi è capitato di pensare che molti dei giornalisti e degli inviati di oggi (non tutti) abbiano perso quello straordinario animo professionale che li deve portare dentro la notizia, trasformandoli in semplici narratori di comunicati stampa e fogli di agenzia.

Qui sono emersi volti quasi sconosciuti di reporter con gli attributi (anche se molti sono donne) che stanno dimostrando coraggio, capacità di narrare e senso critico per la verità come Hemingway!

La speranza è che le parole oltre a raccontarci il senso profondo di questo conflitto possano trovare il varco per mediare e trovare una soluzione di pace.

Chissà che tra loro a guerra finita (speriamo presto) non nasca un nuovo Hemingway, capace con la potenza letteraria di raccontarci la storia di questo terribile conflitto.

Solitamente scrivo di natura, di animali, di libri, di Hemingway... sentivo di dover scrivere queste parole.

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